ti racconto una storia...


...DIARIO


Non credevo potesse accadere proprio a me ...
Luglio 1997: un caldo vischioso, lui esce dal laboratorio dove sta lavorando immerso in una nuvola di polvere, 45 anni fatti da poco, sudato, con i capelli lunghi e sporchi, i baffi alla Gengiskhan, macchie di colore ovunque ... Ecco! ... Il colpo di fulmine! Inutili i moniti di chi mi aveva mandata lì per incontrare il maestro di restauro. Avrebbero dovuto salvarmi da quegli occhi!!
Ho sempre vissuto osservando l'arte senza mai riuscire a sentirmi un'artista ed ho anche provato a praticarla, all'Accademia, producendo senza però provare l'emozione di creare l'opera. L'ho trovata invece in quello sguardo.
Improvvisamente proiettata nella vita di un uomo, ricca di vicissitudini e instabilità, mi sento dire: “non abbandonare mai l'arte, lei non mi ha mai tradito!“. Forse intende dire che se non cerchi fama e denaro e ti dedichi a Lei, solo per un tuo bisogno personale di ricerca, Lei ti seguirà, l'arte seguirà la tua vita ... Beh! Sì! Non è possibile tradire se stessi.
Sono princìpi che fanno pensare ad un uomo inattuale, estraneo ad una “contemporaneità” tutta proiettata alla ricerca del successo, l'obbiettivo assoluto, l'altare su cui si è disposti a sacrificare la propria libertà e autonomia creativa.
Mi racconta di un bambino cresciuto nei collegi religiosi, con dentro un mondo di emozioni, come i mondi di tutti i fanciulli. Un bambino che non si esprime con parole per comunicare, numeri per stupire, sorrisi per conquistare; che usa le sue immagini come merce di scambio per avere colori per altre immagini da mostrare al frate perché gli insegni a dipingere, direttamente, con i tubetti. Preludio al contatto fisico con la materia della pittura: il corpo del colore. Ce l'ha eccome un corpo, il colore! I suoi quadri di oggi si fanno toccare e sono morbidi e ruvidi e se non fai attenzione ti tagliano fuori e dentro.
Nel dipinto “Le Marzie” (2007) c'è ancora il gesto di sintesi che si ritrova spontaneo e non ancora decodificato nel “Cavallino verde” (1955).
Sfogliando il libretto scolastico degli anni d'obbligo, si intuisce subito che le regole, le nozioni e gli insegnanti autoritari non stimolano in lui nessun interesse, ma non riescono tuttavia nemmeno a reprimere una spiccata predisposizione per il disegno.
Dipinge copie di autori famosi e composizioni dal vero di strumenti musicali esotici regalati dal padre, Giovanni, che li acquista nei porti dove approda la nave su cui lavora; li vende bene, è abile.
Ma l'energia dell'adolescenza si manifesta subito negli “Intrighi inestricabili” (1966), che troveranno una luce nelle finestre, “Apertura luce” (1966).

Conserva nel cuore il rispetto per il maestro di ceramica dell'Istituto d'Arte di Venezia, Aldo Fuga, che lo accoglie sotto la propria ala protettrice, anche perché unico maschio in una classe di sette ragazze adolescenti, alla fine degli anni sessanta, una femminilità aggressiva, battagliera e senza pudori. Aldo Fuga, oltre a svelargli i segreti della ceramica, lo inizia ad un'arte che è ancora agli albori: il restauro della ceramica. E nel 1969 Giordano apre in via Metauro 17, a Mestre, il suo primo laboratorio d'Arte e Restauro, sostenuto dall'entusiasmo della mamma, Lucia.
Penso siano poche le persone in grado di assimilare solo ciò che trovano veramente interessante, senza farsi distrarre da ciò che sentono superfluo. Anche dalla storia dell'arte Giordano coglie solo ciò che può stimolare i suoi progetti creativi. Non sono importanti gli eventi, i canoni estetici stabiliti e imposti dai critici e degli storici, buoni per le enciclopedie e i libri di testo scolastici.
Per Giordano, tutto si spiega nei e dai quadri: la vita dell'artista e il suo tempo, l'umore, le passioni, le perversioni, le sofferenze, la gioia e ancora l'abilità tecnica, la pennellata che crea la vibrazione e l'emozione. Ripete quei gesti antichi e presenti, assimilando la sintesi dei grandi, da Giotto a Picasso. Cerca nelle loro opere i ripensamenti, le esitazioni, le traccie evolutive di un pensiero creativo in movimento, vitale. Ad ascoltarlo, mentre legge un quadro, sembra di sentirsi raccontare una storia, i frammenti di vita che l'artista impresse nella tela: penetra fin nei particolari più intimi, un po' comici e un po' tragici, come se sapesse che un giorno qualcuno si divertirà a guardare i suoi stessi quadri con il medesimo intento, perché anche lui ci scrive la propria storia.
Nel 1973 giunge all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Il suo maestro Edmondo Bacci lo invita ad osservare un frammento dei suoi grovigli e a vederne la completezza: “... vedi è già un quadro”. Gli spiega come il caos non dia la possibilità di lettura, di capire e lo guida verso un percorso di sintesi, che a differenza delle nebulose colorate del maestro, Giordano elabora nella paura e nel nero (interv. 2006).
Da gli “Spazi luce” (1966), il tema delle finestre rimane una costante nei suoi quadri, ormai giunti al massimo della sintesi, ripuliti di tutto ciò che è superfluo. Lavoro studio e vivo mosso dalle mie esperienze artistiche, cerco il più possibile di liberarmi da quanto c'è di inutile (in me), rifugiandomi in spazi vuoti di pace fisica e spirituale, elevando quanto rimane per una vita sana e concreta, per costruire sulle fondamenta che non hanno ceduto all'invalidità di essere (ag.1978).

Quadrati per lo più neri, leggeri come le veline che li racchiudono e nello stesso tempo pesanti come i pensieri scuri che contengono: la morte del fratello minore, compagno di euforie da vent'anni, un dramma famigliare annunciato.
Bisogna distinguere il lavoro dall'amore; nel lavoro si deve essere se stessi, con l'amore del lavoro, sì! Se stessi! (con molta soddisfazione di me stesso dopo averla riletta!) (ag.1978). Sono gli anni della Nuova Pittura e la critica non ignora questo artista veneziano d'acqua, arrogante, provocatore, la cui forte personalità si manifesta nell'arte.
Viene selezionato due volte tra gli allievi dell'Accademia per esporre al Premio Lubiam. Nel 1978 vince il primo premio Opera Bevilacqua La Masa con “Gradinata allo spazio blu”. Ne seguono una serie di personali su invito nelle gallerie d'arte dell'entroterra veneto.




Ad un anno dal termine degli studi, a Venezia, la morte di Bacci porta via con sé anche le ragioni della sua permanenza all'Accademia: non è un diploma che a Giordano interessa. Sospende gli studi e ne approfitta per fare il militare. Lagunare Battaglione S. Marco: non è esattamente ciò che si avvicina alle sue idee pacifiste, ma anche l'esercito ha bisogno di un bravo disegnatore di mappe di battaglie a tavolino, e c'è anche un colonnello che ha bisogno di un progetto artistico per la cancellata di casa (forse, più che una necessità, è un ottimo pretesto per aver progetti di potenziali artisti famosi). E c'è sempre un turno di guardia notturno con la neve, un enorme foglio bianco grande quanto il mondo che lo circonda e ci sono degli anfibi come strumento per disegnare, remota attesa che qualcuno all'alba noti l'opera dall'alto ... forse un ufo!

La personalità forte del Maestro Emilio Vedova può essere un buon motivo per tornare all'Accademia. Spinto dallo stesso maestro, Giordano si iscrive al suo corso. Ne nasce una collaborazione che durerà anche dopo il diploma, nello studio personale di Vedova, alle Zattere.
S'incontra nei 'baccari veneziani' davanti a un 'ombra' di vino e un 'cicchetto', a discutere animatamente d'arte con artisti come Carmelo Zotti, Virgilio Guidi, Armando Pizzinato, Luciano Todesco e critici quali Fraccalini, Abis, Perocco, Mazzariol, lui, provocatore per partito preso.
Giordano vive il suo tempo in modo intenso e ricorda la fine degli anni 70 con una sguardo più ampio, premonitore della modernità:dopo la tensione del dopoguerra, degli anni 50, dopo la paura della bomba atomica e una terza guerra mondiale, l'uomo con il benessere del consumismo pian piano comincia a vivere senza veri ideali, nell'omologazione di massa; cerca a tutti i costi sensazioni nuove. ... Si cercano angeli senza una risposta, si guarda di più all'aldilà , agli altri mondi. ... Ed è frutto di un desiderio di provare qualcosa di diverso ... E' l'esplosione della ricerca dei misteri. In quei misteri l'uomo si butta per ritrovare un po' di se stesso e meditare sul perché delle cose e dell'agire. Se prima l'uomo aveva paura del silenzio, ora ne fa il suo bisogno per liberarsi da quelle sensazioni, emozioni nervose delle quali troppo si è servito negli anni 70. Da questi pensieri nascono “ L'uomo che guarda lo schermo bianco”, “Un letto nella stanza bianca”,”La fontana bianca” ,” Finestra con luce di novembre”... “Riposo nell'arte” del 1978. ... la chiave del quadro è l'uomo e il tempo.(ag.1978)

... Trovandomi solo in una notte buia dove tutto intorno diventa nero, le piante, dove cammino, il cielo, tutto assume un'atmosfera a cui gli occhi e le orecchie e la mia mente e il cuore si abbandonano in una tranquillità infinita. Se poi nello spazio si trova un punto luminoso che non sia artificiale, come la luna o una stella, una fiamma, essa diventa il fulcro di tutto, il centro dell'esistenza. Perché l'uomo vive per quello che non ha visto, ma per quello che vede e ha vicino, si innamora e la fa sua(ag.1979).


Per anni il nero lo ossessiona, le finestre diventano “loculi”, come li definisce Vedova. “Requiem alla vita” (1980) è il luogo dove l'uomo perde la personalità, il luogo che livella tutti gli esseri, la morte come annientamento delle differenze. L'opera sconcerta anche Vedova, che la definisce il più bel quadro esposto in Accademia. Il desiderio è di dare pace all'inquietudine che lo tormenta, liberarsi dai disturbi di una civiltà fondata sul puro interesse economico, cercare un luogo ove la mente possa essere libera di ispezionare il mondo interiore, senza condizionamenti.
E Venezia è un palcoscenico perfetto ...:
una panchina in una stanza vuota , ecco cosa mi interessa riproporre. Forse cerco la pace e il riposo in un posto tranquillo dove addormentarmi senza dovere tenere gli orecchi tesi e gli occhi aperti. Anche in una boa sull'acqua calma, liscia che rispecchia la luce del sole e un azzurro cristallino, un'attrazione! Forse la stessa che prova un gabbiano che vi si posa dopo aver volato, o la presa della mano della madre al suo bambino, o nell'attaccarvi la mia barca”. (ag.1979)

Per un veneziano il caso non esiste, ma per me non è facile convivere con superstizioni, simbologie, miti e leggende. Il più delle volte penso siano inventate, determinate da circostanze contingenti! Ma i sacchi di iuta che contengono il caffè e che arrivano con le navi a Porto Marghera, portano nei suoi quadri il peso della fatica, il lavoro dell'uomo, che Giordano riprende con cura nel cucirli per farne elementi di linguaggio e documento: le tele nere o blu, recuperate dai ritagli delle stoffe di sua mamma sarta, che riannodano il legame con la famiglia; le carte veline utilizzate per salvare gli oggetti più delicati o i pensieri più fragili, materiale ideale per rendere le trasparenze e la luminosità che avvolge Venezia, città unica, sospesa tra cielo e acqua; qualche vecchia cornice o foglio di giornale d'epoca, perché la storia simboleggiata racchiude e ordina il fare dell'uomo. Niente è per caso.
Anche l'uso di determinati colori non è casuale, tanto più oggi che il colore ha perso il suo valore, al quale si affidano mitologie, superstizioni, classificazioni, patriottismo, moda. Oggi il colore è diventato libero, non esistono toni o miti di accostamento. Ecco, a questo punto non rimpiango il vecchio conservatorismo della simbologia coloristica, ma sento in me il bisogno di elevare colori che alla mia sensibilità sembrano armoniosi, e di scartarne altri che non sento naturali ma artificiali, senza vita, innaturali. Qui nasce il bisogno di raccogliere colori naturali: possiedo una raccolta di quasi quattrocento pigmenti. Nel complesso dell'opera finita, essi vengono accettati quanto più vengono sentiti come naturali, fusi con l'ambiente. (ag.1979)
Se la “Finestra con ostacolo” (1975) gli permette di esplorare lo 'spazio oltre', quello delle emozioni più profonde, delle paure dolorose, senza oltrepassare il baratro, i loculi degli anni ottanta lo pongono difronte all'idea di un'arte assoluta fatta da campiture di colore piatte, un'arte vuota, fatta anche di una semplice linea...”. Il rischio di oltrepassare quell'ostacolo “a me ha fatto paura! E io l'ho espressa nel nero e mi son chiesto: 'e dopo di questo cosa faccio? dopo di questo dove vado??' ”.


Era il timore di arrivare ad un punto fermo, di ripetersi ad oltranza riproponendo lo stesso dilemma fino ad esorcizzarlo svuotandolo del suo significato, riducendolo a un mero gioco che aggrada critica e pubblico: ... ho capito il mio imbarazzo di arrivare davanti a una tela vuota e non essere contento... ho fatto una scelta enorme, quella di tornare al colore, alla gioia di vivere!” (intervista 2006). Si avvia a percorrere un percorso a ritroso, dall'assoluto alla scoperta delle piccole gioie della vita.
Sono arrivato a questo punto dopo aver trovato il coraggio di andar fuori dal mio rettangolo “nero”.
Fino ad oggi (27/6/79) ho avuto nelle mie migliori creazioni il bisogno di sentirmi tranquillo nel raffigurare cose simmetriche e in modo prospettico frontale, forse per sentirmi più sicuro. Di fatto, sostenere e difendere una cosa è facile. Ecco perché oggi mi sento di uscire da certe forme... Devo cercare qualcosa che riconfermi la mia cifra, ma che mi dia interiormente la possibilità di essere più libero.
Ho voluto cambiare modo di esprimermi. E è da discutere che cosa significhi 'cambiare', o sarebbe più corretto dire 'vivere'.”

Incurante della reazione dei critici che lo apprezzavano, chiude un percorso lasciando la traccia che altri giovani riprenderanno. Serve un nuovo punto di partenza. E il passaggio è quasi obbligato: il Maestro per eccellenza della sintesi, Picasso. Giordano non ha mai abbandonato il disegno, il segno, che ora, nel creare un nuovo linguaggio, diviene uno strumento indispensabile. Recupera la figura che il cubismo scompone e la sovraccarica di colore, esce con forza dal nero, dal buio e da ciò che conteneva. Compone sulla tela favole (polittico: “Alice nel paese delle meraviglie: l'inconscio è amore e paura, Alice e il grifone verso il volgere della fiaba, la sorgente delle esigenze vitali, ammirazione e speranza nel futuro”1984) e poesie dipinte (“Piffero e mele” 1980, “matrimonio”1981, “Lo scemo”1981 ). I quadri sono grandi, invadenti, quasi per non lasciare spazio ad altro che al colore. “I colori vengono spesso usati nel modo più severo, essi sono per me fonte di vita. E ciò che è vita non può essere fustigato.”
Sceglie come immagine della rinascita una pecora, mite, calda, che con grande forza cessa di brucare a testa bassa, appesantita dai pensieri bui rivolti verso la terra e alza lo sguardo verso il sole, altro elemento onnipresente, l'energia vitale. Ne foggia quattro, in metallo, che esporrà nel 1982 al Museo d'Arte Moderna Ca' Pesaro, a Venezia, metafora dell'uomo comune che cambia il suo destino. Ancora una volta crea le sue opere con oggetti presi dalla quotidianità materiale: un radiatore per riscaldamento, un martello, una maniglia, del metallo povero tagliato saldato piegato con cura.
Dipinge ovunque, su vecchie porte (“S. Giorgio e il drago” 1994 ), tele ricucite, vecchi specchi, ritagli di legno: più è povero il materiale di supporto e più la pittura si espone e propone come soggetto forte, comunicativo e provocatore. Il colore diviene gioco e sfida. Giordano mette in opera tutte le sue conoscenze alchemiche nel combinare tecniche e materiali altrimenti incompatibili ( ... ho sempre l'impressione che il suo laboratorio -quello preferito è la cucina- debba prima o poi esplodere! ). “I materiali che sono già serviti per essere qualcosa , consumati dal tempo, hanno un fascino maggiore: riutilizzandoli nuovamente, acquistano un nuovo valore, conservando sempre il vecchio, di cosa che ha avuto una funzione per l'uomo. Più giusta e leale è l'opera, se creata da materiali non pregiati, che abbia quindi solo il valore che essa stessa sa dare. “ (ag.1979)


Elabora l'alfabeto che Vedova gli fa conoscere, fatto di forza nel segno, di materia, di energia, di equilibrio, di luce, di spazio, un bagaglio culturale enorme e vivo a disposizione. Giordano lo usa per comporre poesia perfettamente combinata con elementi figurativi. Figure dalle implicazioni così complesse che, in un mondo confuso e superficiale come il nostro, possono apparire obsolete, forse scandalose. Ma, se si osserva un frammento di quei quadri, vi si ritrova la dimensione astratta, un giusto equilibrio tra l'anima dell'uomo e il mondo fenomenico, tra dentro e fuori, tra astrazione e concretezza.
La poesia la trova nel quotidiano, negli animali che lo circondano, nei gesti, nei volti di chi incontra; in una natura che si sta brutalmente trasformando a causa dell'intervento umano, cerca nelle piccole cose la gioia di vivere.
Un incontro fortuito! Uno sportello di frigorifero abbandonato! Che superficie interessante! Colorata, con una lamiera metallica tagliente, un cuore morbido e velenoso, la plastica, e queste curve morbide e accattivanti. C'è di tutto!
Comincia con qualche gesto colorato deciso e sicuro, poi il volume. E allora taglia scava salda martella fin tanto che il limite tra pittura e scultura si assottiglia. E, ancora, l'intervento attivo della natura stessa, la pioggia come strumento ossidante del metallo, per ottenere la gamma di cromia opportunamente controllata e fermata nel “momento giusto”.
Nei frigoriferi come nelle finestre c'è il bisogno di addentrarsi in quello spazio 'oltre'. Nelle finestre è astratto e psicologico: lo spazio delle paure che si superano o si dimenticano con gli anni. La materia non esiste, è leggera come le carte veline che le compongono. Guardandole ognuno vede le proprie paure esorcizzate in un'immagine; l'artista provoca, penetra l'inconscio di chi guarda, esplora e ricrea gli spazi oscuri ove la mente non naufraga nel pensiero ma in emozioni non traducibili verbalmente.
Oggi, circondato da una realtà virtuale, sente l'esigenza di recuperare l'esperienza del concreto. Non basta stimolare la mente, ma occorre anche coinvolgere i sensi, toccare le superfici. Nei frigoriferi la materia è vera, si plasma, si scava, si tocca, taglia, esce dalla parete e ti viene incontro. Non basta! Giordano ti rende partecipe anche dell'atto creativo, crea performance in cui l'emozione travolge e non risparmia nessuno.
Adesso Giordano “dipinge la realtà per la realtà”.


Dedico questo diario a tutti coloro che non vendono se stessi per sembrare un po' migliori o un po' più bravi o un po' più ricchi, ma che credono in quello che fanno a costo di non essere capiti! Fabiola Scremin 2007

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